Le 7 regole per diventare bravi filosofi

di Salvatore Primiceri – A cosa serve la filosofia? Per molti un filosofo è una persona con la testa fra le nuvole, uno che pensa a come risolvere questioni irrisolvibili offrendo spiegazioni incomprensibili; insomma uno che si arroventa il cervello di continuo finendo per rimanere intrappolato nelle contraddizioni dei suoi stessi ragionamenti.
Eppure questa raffigurazione del filosofo è lontana dalla realtà. Se, infatti, è vero che Talete un giorno cadde in una buca perché intento a pensare con lo sguardo rivolto al cielo, è altrettanto vero che senza esercitare il pensiero si finisce per cadere in qualcosa di molto più grave come l’ignoranza.

La realtà, come suggeriva Epicuro, è che tutti dovremmo praticare la filosofia. In fondo nasciamo filosofi. Fin da bambini, infatti, ci poniamo domande quali “da dove veniamo”, “come è nato il mondo”, “cos’è buono”, “cos’è la giustizia”, e via dicendo. Filosofare significa ricercare la virtù sfruttando a pieno le nostre capacità razionali. Filosofare vuol dire riflettere, quindi, non per dare risposte definitive, ma per avvicinarci il più possibile a ciò che è giusto e a ciò che è buono, alla verità delle cose. Come affermava Socrate: “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta“.

Praticando la filosofia saremo persone migliori. Ma come fare a diventare bravi filosofi? Ecco le prime sette regole da seguire.

1 – Meravigliarsi
2 – Sapere di non sapere
3 – Praticare il dubbio
4 – Ascoltare e domandare
5 – Sospendere il giudizio
6 – Conoscere sé stessi
7 – Scendere in campo

Analizziamole un po’ di più nel dettaglio:

1 – Meravigliarsi
La meraviglia è l’elemento che spinge l’uomo a osservare, a stupirsi, a interrogarsi. Il primo ad affermare tale concetto è stato Aristotele nella Metafisica (cit. “gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia“). Solo una sana curiosità accende la miccia della passione e il desiderio di scoprire la natura e la verità delle cose. Per essere buoni filosofi occorre quindi essere curiosi e avere la pazienza di ragionare su ciò che si osserva senza pretendere di sapere già tutto, né di arrivare a scoprire una verità assoluta. Gli scettici in questo erano categorici nell’affermare che non potremo mai conoscere tutto della realtà che ci circonda. Occorre comunque muovere il pensiero, sfruttare le potenzialità della mente e investigare per avvicinarci il più possibile alla conoscenza delle cose.

2 – Sapere di non sapere
Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere (Aristotele). E anche Socrate, prima di Aristotele, ha fondato tutta la sua filosofia sul riconoscere di non sapere. Sapere di non sapere è il più alto livello di sapienza perché permette all’uomo di avvicinarsi alla conoscenza delle cose con umiltà. E ancora Aristotele: “Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica“. La filosofia rende liberi perché il sapere ci libera dalle schiavitù. “É evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa“.

3 – Praticare il dubbio
Il vero filosofo è, quindi, un po’ scettico per natura. Egli dubita di ogni cosa, non dà nulla per scontato, non segue la logica della massa. Il filosofo vuole vederci chiaro e non si accoda ai giudizi immediati o alle conclusioni affrettate. Il nostro cervello è molto pigro e tende ad accettare un ragionamento se fila dal punto di vista logico, tendendo a scartare altre possibilità. Quando una cosa funziona, del resto, perché scervellarsi a trovare soluzioni diverse? Ma la logica abituale spesso induce in errore e chiude le porte a molte altre possibilità. Per questo il filosofo è colui che conta fino a dieci prima di esprimersi su qualsiasi cosa, o almeno non si esprime prima di aver messo in discussione i presupposti e praticato tutte le alternative possibili di un problema da risolvere. Il dubbio non blocca le decisioni ma induce ad esercitare il pensiero al fine di raggiungere la miglior decisione possibile. Pensate ad esempio al processo penale quando viene previsto che nessuno possa essere condannato se sussiste anche un minimo ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza. Anche un’ipotesi apparentemente impossibile, se ragionevole, deve essere coltivata. Con la logica abituale è facile trovare il colpevole ma è altrettanto facile condannare un innocente.

4 – Ascoltare e domandare
Nell’era in cui molti parlano e pochi ascoltano (ma in fondo è sempre stato così), il filosofo con curiosità ascolta coloro che si credono sapienti. Ma ad un certo punto interviene e domanda. Per prima cosa chiede di specificare meglio una definizione. Poi, una volta fatto cadere in contraddizione il proprio interlocutore, continua a dialogare con lui facendogli venire sempre meno le sue certezze. E’ il metodo dialogico della maieutica socratica. Esempio: se un filosofo sente qualcuno dire che una cosa non è normale, egli chiede all’altro di offrire una definizione di normalità. Il filosofo, quindi, di fronte ad un tema tende a problematizzare le questioni, in modo che esse non vengano affrontate superficialmente o dando per assunte certezze che non si possono avere o che sembrano tali per via del senso comune.

5 – Sospendere il giudizio
Per via di quanto detto finora il filosofo non giudica, riflette su ogni questione, indaga e ricerca la verità ponendo questioni. Proprio per la difficoltà a raggiungere il traguardo, egli sospende il giudizio in quanto consapevole di quante cose siano destinate a rimanere ignote. La sospensione del giudizio lo rende imparziale, neutrale e, per certi versi, imperturbabile di fronte alla complessità dei problemi. Anche qui ci viene incontro il diritto. Pensiamo alla differenza tra verità reale e verità processuale. La seconda ha un carattere relativo e proprio per questo può essere considerata un punto di arrivo, giusto o sbagliato che sia. L’indagine filosofica serve anche a fare in modo che una verità, pur relativa che sia, si avvicini il più possibile al vero, non potendo raggiungere la verità assoluta.

6 – Conoscere sé stessi
Il filosofo si prende particolare cura della propria anima. E’ in fondo ad essa che risiedono gli ingredienti per una vita virtuosa; è ad essa che il filosofo attinge i valori etici per condurre una vita il più possibile felice. La tranquillità del proprio animo, dicevano in particolare Seneca e Plutarco, si raggiunge con una profonda consapevolezza di ciò che siamo e di ciò per cui vale davvero la pena vivere. “Tutte le risposte sono dentro di noi“, affermava Socrate. Un animo sereno è predisposto al dialogo e ad accettare che piacere e dolore sono volti della stessa medaglia, la vita. Andare d’accordo col proprio essere consente di aprirsi agli altri in modo saggio e obiettivo.

7 – Scendere in campo
Il filosofo non è colui che si rifugia in sé stesso o nella propria casa, disinteressandosi delle questioni del mondo in cui vive e riflettendo per un semplice piacere egoistico. Il vero filosofo vive nelle piazze, nell’agorà, come Socrate e parla con il popolo, o anche solo con il prossimo all’interno della comunità più vicina come faceva Epicuro con gli amici del giardino. Il filosofo stimola la riflessione a più livelli, dalla politica agli affari, dialogando con tutti a partire dai giovani. Certo, alcuni filosofi non hanno avuto fortuna come consiglieri politici. Platone rischiò la vita nel tentare di educare il tiranno Dioniso alla filosofia, mentre Seneca la perdeva per ordine di Nerone. Se il filosofo difficilmente può fare il politico per via del suo spirito libero che segue il fine della virtù e non dell’interesse particolare (difficilmente, ad esempio, un filosofo può rimanere sempre allineato alla linea politica di un partito), al contrario il politico può essere un po’ filosofo per dare un indirizzo più etico possibile al proprio agire. L’imperatore Marco Aurelio adottò la filosofia per interrogarsi sulla giustezza del suo governare e così anche oggi sarebbe auspicabile che i politici non si dimentichino di praticare la filosofia, cosa che li aiuterebbe nel ricordarsi che è il “bene comune” la finalità del proprio compito. Rispetto all’idea iniziale di Aristotele, quindi, la filosofia deve avere anche un risvolto pratico perché la teoria si traduca nel buon vivere e nei giusti comportamenti per il bene collettivo.

Salvatore Primiceri

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